PERCHE' UN "BLOG"


Questo blog è un piccolo sito web, da noi gestito, in cui pubblicheremo più o meno periodicamente, come in una sorta di diario online, i nostri pensieri, opinioni, riflessioni, considerazioni ed altro.

Il solo scopo è di poter creare un ambiente all'interno del quale trovare indicazioni e prodotti che appartengono alle vecchie abitudini e usanze contadine.

E' un modo per riappropriarci delle nostre meravigliose campagne purtroppo sempre meno abitate e amate.

Grazie fin d'ora a tutti quelli che vorranno dedicare un pò del loro tempo al nostro blog.


mercoledì 17 dicembre 2014

"CARATTERISTICHE DEL CASTAGNO"


Il castagno è una pianta tipica delle zone collinari, cresce fino ai 900 metri. Si trova nella composizione di boschi misti o solo boschi di castagno. E’ una pianta a crescita molto rapida e molto longeva, quindi la produzione è continua.
I boschi, per ricavare il legname per pali, sono spesso tenuti a ceduo, un tipo di formazione boschiva costituita essenzialmente da polloni per garantirne la produttività.
Il legno di castagno è bruno, elastico e resistente, questo perché è molto ricco di tannino che lo rende anche molto durevole nel tempo.

I pali di castagno possono essere impiegati in:
- tronchi per falegnameria
- staccionate
- recinzioni
- pali per vigneti e frutteti
- palizzate
- palificate
- fioriere

Sono particolarmente indicati nelle zone umide o a contatto con l’acqua in quanto è un legno che resiste per molti anni senza deteriorarsi o marcire.
L’attività di produzione dei pali di castagno parte dal lavoro boschivo. La prima lavorazione consiste nella scortecciatura, poi vengono preparati i pali. Secondo le esigenze essi possono variare nelle misure di diametro e lunghezza. I pali vengono normalmente finiti con punta a scalpello o a matita per poter essere inseriti nel terreno senza difficoltà.

La mancata regolare potatura sta progressivamente inaridendo i boschi. Dobbiamo riprender l’utilizzo del legno nelle opere di consolidamento evitando costi inutili nonché una pericolosa cementificazione.

domenica 26 ottobre 2014

"MIELE, LA PRODUZIONE CALA DEL 50%. E IL PREZZO SALE!"



«Oltre 60 le segnalazioni di grave avvelenamento di interi apiari nella scorsa primavera in tutta Italia, in coincidenza con la semina di mais e trattamenti di frutta e cereali.  Ad acuire la situazione il fattore clima: si stima una flessione della produzione del 50% per il miele di acacia, castagno e per quello di agrumi e mille fiori. Conseguenti aumenti di prezzi in acquisto tra il 20 e il 30%».
La morie delle  api che, da nord a sud, hanno caratterizzato l’ultima primavera sono gravi come quelle del 2008 e le segnalazioni raccolte dalle associazioni degli apicoltori tra marzo e maggio 2014 attraverso la rete “Spia” del progetto Beenet parlano di grave avvelenamento di interi apiari: «Come sei anni fa  anche nei mesi scorsi gli eventi si sono manifestati in coincidenza con la semina di mais e i trattamenti di fruttiferi e vite, di cereali e ornamentali, mentre si è accertato che le cause delle morie non sono di tipo veterinario». Per questo le associazioni richiamano l’attenzione delle istituzioni su  alcune pratiche agronomiche scorrette e spesso non in linea con le normative vigenti.

Ma cosa è successo la scorsa primavera? «Il clima mite invernale ha favorito le infestazioni di insetti nocivi spingendo gli agricoltori a intensificare i trattamenti. A gravare ulteriormente sulla campagna miele, inoltre, le condizioni meteo decisamente sfavorevoli che hanno determinato pesanti ripercussioni sulle rese».

La produzione italiana di miele nel 2014 dovrebbe calare in media del 50% per i mieli  di acacia, castagno, agrumi e millefiori primaverile-estivo. Il che si tradurrà in un aumento dei prezzi tra il 20 e il 30%.
Non va meglio sui mercati internazionali: il raccolto del miele di eucalipto in Australia è praticamente azzerato, in Sud America il calo è del 50%, in Spagna del 40% e la produzione di miele di acacia dell’Europa dell’Est è precipitata ad un meno -60

mercoledì 2 luglio 2014

"SAN MAMANTE SI PREPARA ALLA FESTA"

Nella piccola frazione di Sassonero, posta nell’alta valle del Sillaro, si svolge ancora oggi fin dai tempi più lontani, la festa in onore di S. Mamante.
Nei secoli passati questa frazione poteva vantare nel proprio territorio 3 distinte chiese: S. Pietro posta vicino all’enorme ofiolite che ha dato il nome alla zona, Santa Maria della Villa e la chiesa di San Mamante....
Oggi San Pietro non esiste più così come l’adiacente castello, Santa Maria è rimasta come unica chiesa (intitolata a San Pietro in Santa Maria della Villa) e San Mamante è stato ridotto ad oratorio già dall‘800, epoca a cui si può far risalire l’attuale aspetto. Il suggestivo contesto naturale, fatto di silenzi e brulle colline fa da scenario, ogni metà di agosto, alla semplice ma sentita festa di S. Mamante.

San Mama (più conosciuto come San Mamante e nel bolognese come San Mamolo) nacque in Oriente nel III° secolo d.C. Rimasto orfano dei genitori perseguitati per la loro fede cristiana, fu cresciuto da una donna che gli diede il nome di Mama vista l’abitudine del bimbo di chiamarla in quel modo. Giovanissimo iniziò a predicare la fede cristiana e per sfuggire alle persecuzioni si ritirò tra i monti predicando alle belve che, secondo la tradizione, ben presto divennero mansuete sino a fornirgli il loro latte per farlo sopravvivere. A causa della sua fede fu però catturato e condannato a morte tramite il martirio. In Occidente è il patrono delle nutrici per via del nome e perché nutrito dal latte delle bestie ammansite.

A Sassonero la festa di S. Mamante si svolge immutata da decenni: la vigilia della solennità la statua del santo viene portata dalla chiesa di Santa Maria sino all’oratorio a lui dedicato, dove vi rimane fino alla domenica successiva (potendovi così rimanere due soli giorni se il 17 agosto cade di sabato o una settimana intera se il 17 cade di domenica). Qui, per tutti i giorni della festa, si svolgono funzioni religiose che radunano numerose persone. Il giorno dedicato al santo, 17 agosto appunto, la solenne celebrazione liturgica è connotata da una processione e da una particolare benedizione impartita ai bambini, proprio a memoria del martirio del santo avvenuto in giovane età.

In passato la festa era molto conosciuta e richiamava sul luogo numerose persone anche dai luoghi più distanti.

Una religiosità molto diffusa ed i pochi momenti di svago di una vita dura condotta negli isolati casolari, trasformavano anche le feste più semplici in incontri a cui non mancare anche a costo di percorrere numerosi chilometri a piedi. Ed ancora oggi, nonostante il periodo in cui cade la solennità sia dedicato alle ferie, molte sono le persone che la festa richiama: chi per devozione, chi per ritornare sui luoghi d’infanzia, chi per trascorrere alcune ore nella natura.

La frazione di Sassonero è raggiungibile da Bisano oppure dalla Strada Provinciale Sillaro da percorrere in direzione Sassoleone. L’oratorio è posto in via san Mamolo, trasversale di via Sillaro.
 
A presto!

lunedì 9 giugno 2014

MELATA "Nuova linfa per il cervello"


Sano, saporito, salutare: afidi ed api alleate per la nostra salute

La melata, sorellastra buona e salutare del miele, è la sostanza prodotta dal metabolismo degli afidi, ed altri piccoli insetti, che succhiano la linfa dalle foglie delle piante. Le api raccolgono questa sostanza zuccherina e la elaborano trasformandola in miele di melata.

Molto ricca di sostanze minerali, potassio, fosforo, ferro. Il sapore di questo miele è un pò meno dolce rispetto ai mieli di nettare ed è caratteristico con il suo retrogusto di corteccia, terra e zucchero: un misto curioso e spettacolare sulla lingua: amaro, terroso, molto dolce e molto legnoso. Il colore è molto scuro, a volte tendente al nero. E' molto denso e non cristallizza. La melata si caratterizza per la presenza di sali minerali in quantità maggiori rispetto ad altri tipi di mieli

E' particolarmente apprezzata da chi svolge attività sportiva ma è sottovalutata la consonanza stretta con le funzioni del sistema nervoso, con la salute del cervello, della circolazione cerebrale e della memoria. Infatti la minore quantità di glucosio, fruttosio, maltosio, saccarosio associata alla maggiore quantità di aminoacidi, minerali, oligoelementi in traccia (manganese, zinco, cobalto, zolfo, fosforo) permette un assorbimento più leggero e modulato da parte del cervello e del sistema nervoso. Insomma la melata, nutre, ripara e sostiene le funzioni del sistema nervoso con dolcezza e senza lo shock energetico degli altri mieli e ancor di più dello zucchero e di diverse sostanze naturali eccitanti, come la damiana, il ginseng, l'eleuterococco, il guaranà, la pappa reale, anch'essi utilizzati per dare "tono" all'umore e alla salute della nostra testa. La melata può dunque essere considerata il rimedio naturale prioritario per le persone che pur avendo bisogno di ridare energia al cervello e a tutte le funzioni collegate, mal sopportano gli energizzanti.

Da un punto di vista energetico la melata si caratterizza per essere l'apice di una trasformazione che non parte dal "seme" delle piante bensì dalla linfa, che è la "memoria" delle piante stesse, in cui circolano insieme alle sostanze benefiche e vitali per la pianta, informazioni e analisi del terreno in cui la pianta si trova.

Questo prezioso alimento si presta alle contraffazioni, ottenute soprattutto con l'aggiunta di glucosio naturale e destrine (polveri derivate dall'amido, inodori, insapori e solubili in acqua). Meglio quindi comprare melata con il marchio "Miele Italiano" che a differenza di quello importato non deve essere pastorizzato, ed è protetto da marchi che ne attestano la precisa provenienza. Melata di certificazione biologica, completa ancor meglio le caratteristiche di questo prodotto.

lunedì 19 maggio 2014

"LE API NEL CUORE"


Le api non conoscono il loro padrone, è l'apicoltore che deve conoscere le sue api. E solitamente l'apicoltore non solo le conosce (e ne accetta serenamente le punture, che possono arrivare anche a cinquanta o più al giorno), ma è colmo di ammirazione per quello che ritiene l'insetto più utile all'uomo e alla natura, il più elegante e carico di simboli. A volte si pone domande profonde e insolubili, perchè spesso l'apicoltore ha inclinazioni filosofiche. Negli alveari vivono popoli sottoposti alla dittatura spietata di una regina o si tratta invece di una struttura basata sulla solidarietà , dalla quale dovremmo imparare? Che valore ha la predisposizione al sacrificio delle api operaie? E il maschio, il povero fuco che paga il privilegio dell'accoppiamento con la morte istantanea, è davvero vittima di una società  matriarcale? E allora diviene meraviglioso descrive le attività  e raccogliere i pensieri (e le credenze) di piccoli apicoltori per passione e di professionisti con migliaia di arnie, che vivono del commercio di miele e di regine.

Insomma si scopre un mondo nuovo e ci si occupa anche della ricerca sulle razze, di stazioni di fecondazione, di inseminazione artificiale e della terribile malattia, la varroa, che ha rischiato di far sparire le api mellifere dalla faccia della terra. Che passione!!

venerdì 16 maggio 2014

"API CHE CONTINUANO A SORPRENDERCI"


Natura e cultura, la vecchia querelle riguardo a quanto del comportamento animale sia controllato da predisposizioni innate immagazzinate nei geni, e quanto invece da fattori appresi culturalmente, è un tema ancora al centro di aspri dibattiti. Un indizio affascinante su questa dicotomia arriva oggi da uno studio pubblicato da un gruppo di ricercatori dell'Università di Washington.

Studiando infatti uno sciame di api, i ricercatori sono riusciti a scoprire i meccanismi genetici responsabili dei comportamenti sociali messi in atto dalle operaie, dimostrando così come a guidare la divisione del lavoro tra questi insetti siano dei particolari frammenti di codice genetico.

È noto da tempo come il comportamento di un'ape operaia dipenda dalla sua età. Nei primi giorni di vita l'insetto sarà una nutrice, prendendosi cura delle larve, attendendo ai bisogni della regina e secernendo la cera per sigillare le celle che contengono le pupe. Dopo circa una settimana l'ape passerà ad altri compiti, come crescere i fuchi, ventilare l'alveare o mettere da parte il polline, divenendo infine una foraggiatrice, che si occupa di raccogliere il polline, solo verso la fine della sua esistenza. Non era però mai stato scoperto quale fosse il meccanismo che guida questi cambiamenti di comportamento.

Studiando il cervello di questi insetti, i ricercatori dell'università di Washington sono riusciti a trovare un collegamento tra la divisione del lavoro nella colonia e la presenza di particolari frammenti di codice genetico.I risultati hanno dimostrato un forte collegamento tra i livelli di espressione e i compiti svolti dalle api.

I ricercatori pensano ora che questo sistema di regolazione dei comportamenti sociali potrebbe essere un meccanismo generale, implicato nella regolazione del comportamento di molte specie animali.

giovedì 8 maggio 2014

"VALLE DEL SILLARO ZONA SLOW"


Le zone che aderiscono a questa iniziativa sono animate da individui “curiosi del tempo ritrovato”, dove l’uomo è ancora protagonista del lento, benefico succedersi delle stagioni; rispettosi della salute dei cittadini, della genuinità dei prodotti e della buona cucina; ricchi di affascinanti tradizioni artigiane, di preziose opere d’arte, di piazze, di teatri, di botteghe, di caffè, di ristoranti, luoghi dello spirito e paesaggi incontaminati; caratterizzati dalla spontaneità dei riti religiosi, dal rispetto delle tradizioni, dalla gioia di un lento e quieto vivere.
Il movimento Zona Slow è stato fondato nel 1999, con lo scopo di perseguire obiettivi comuni, coerenti con un codice di comportamento condiviso e verificabile, i cui valori di riferimento si ispirano alla qualità dell’accoglienza, dei servizi, del tessuto urbano, dell’ambiente, alla buona tavola. La Valle del Sillaro è decisamente Zona Slow.

venerdì 18 aprile 2014

"LUPINELLA"


La lupinella assieme ad un centinaio di specie dello stesso genere, spontanee e coltivate, utili e indifferente all'uomo, porta la denominazione generica di Onobrychis, un vocabolo utilizzato da Dioscoride oltre due mila anni fa e successivamente da Plinio che nella sua etimologia sembra indicare un foraggio gradito in particolare agli asini.
I greci ed anche i romani non conoscevano la lupinella quale pianta da foraggio.
Coltivazione
La lupinella è particolarmente idonea alla formazione di prati monofiti. Viene mantenuta in coltura per due-tre anni, ritenuti il limite di convenienza economica.
Nell'avvicendamento sostituisce il trifoglio violetto, con il quale condivide la preparazione del terreno, l'eventuale consociazione a cercali tipo grano e l'epoca della semina (autunno nelle zone meridionali e primaverile nelle altre zone ad inverno più rigido). Può consociarsi al trifoglio pratense, al lino da olio, non essendo attaccata dalle cuscute.
Entra in rotazione quadriennali del tipo: lupinella-lupinella-grano-grano (o avena), o quinquennali, con tre anni di lupinella e due di cereale, o anche del tipo: sarchiata-frumento (con lupinella)-lupinella-lupinella-frumento.
Sia in coltura isolata che consociata può essere seminata a spaglio a righe distanti 20-50 cm, utilizzando 50-60 Kg di seme sgusciato oppure 120-150 Kg di seme vestito per ettaro.
Importante intervenire con erpicature e concimazioni complementari fosfatiche, ed eventualmente potassiche, accompagnate all'occorrenza da gessature.
Interesse apistico
La lupinella è bottinata dalle api sia per il nettare che per il polline; è forse la leguminosa più ricercata dalle api per il nettare concentrato (42-55% di zuccheri). Essendo la lupinella soggetta a sfalci periodici consente la produzione di miele monoflora, in quantità anche consistenti, solo nelle zone in cui viene lasciata per la produzione del seme. L'entità della raccolta di nettare dipende anche dalla presenza della varietà precoci che danno due o tre tagli all'anno.
L'impollinazione della lupinella, svolta in modo predominante dalle api, non si realizza mediante meccanismo a scatto: il peso dell'ape, posandosi sul fiore, fa fuoriuscire le antere e lo stimma dalla carena che, dopo la partenza dell'insetto, ritornano nella posizione iniziale. Lo stimma sporge oltre le antere, per assicurare la fecondazione incrociata.
Soprattutto nelle zone appenniniche dell'Italia Centrale la lupinella è un importantissima fornitrice di polline. In talune zone, da maggio ad agosto non è raro che le api raccolgano polline quasi esclusivamente da questa specie.

venerdì 28 marzo 2014

"LOM E MERZ"


Appena calata l'ombra della sera, nella notte tra il 28 febbraio e il primo giorno di marzo, nelle aie delle case di campagna si accendono i fuochi.

La nostra è una terra storicamente votata all'agricoltura. E l'agricoltura, come molte altre attività "all'aperto" era, ed è tutt'ora, soggetta alle avversità metereologiche. Così la tradizione contadina del passato voleva che per scongiurare la malasorte venissero fatti dei riti propiziatori, come i fuochi magici: i "Lòm a Merz" (i lumi di marzo). L'accensione di falò propiziatori intendeva celebrare l'arrivo della primavera e invocare un'annata favorevole per il raccolto nei campi, ricacciando il freddo e il rigore dell'inverno. Il suo significato era quello d'incoraggiare e salutare l'arrivo della bella stagione, bruciando i rami secchi e i resti delle potature. Per questa occasione ci si radunava nelle aie, si intonavano canti e si danzava intorno ai fuochi (al fugarèn), mangiando, bevendo e soprattutto divertendosi.

La tradizione di fare "lòm a merz" si è protratta fino agli anni '30, perdendo poi definitivamente il suo carattere di festa dopo la guerra, finché da qualche anno a questa abbiamo riportato alla luce questo rito e anche in questo 2014 ci siamo riuniti per festeggiare.

Mai come oggi - e ancora di più in questo 2014 dichiarato dalla Fao "Anno mondiale dell'agricoltura familiare" - vi è la necessità per "costruire" il futuro di sapere e di cogliere la profondità del nostro passato. I "Lòm a Merz" vogliono essere un invito a mettersi in viaggio in queste terre, nelle quali si trova ancora un amore per il cibo succulento e copioso, dove viene a galla l'intima civiltà della campagna e l'appartenenza al mondo di piante, animali, insetti, uomini, riti, usanze, tradizioni.

Nella nostra casa di campagna abbiamo acceso un grande falò attorno al quale ci siamo riuniti con i nostri amici ed insieme abbiamo festeggiato l’arrivo della stagione mite. Arrivederci al 2015.  

martedì 11 marzo 2014

"PROFESSIONE APICOLTORE"


In Italia il lavoro è sicuro
Sono quasi 60 miliardi le api in Italia, ma questo immenso sciame non riesce a coprire nemmeno la metà del fabbisogno italiano di miele e di prodotti dell’alveare. La stessa situazione si replica a livello europeo, costringendo i Paesi membri a importare miele da Cina, Russia e Stati Uniti.
Eppure i dati, per quanto riguarda l’Italia, sono incoraggianti:
50 mila apicoltori danno vita ad un giro d’affari legato alla produzione di miele, cera, polline e altri prodotti apistici che si aggira intorno ai 65 milioni di euro, senza calcolare che all’interno di un’azienda apistica può sorgere anche una fattoria didattica che mostri le tecniche di produzione del miele ai ragazzi delle scuole.

Avviare un alveare non richiede un grande capitale iniziale né un impegno a tempo pieno, ma bisogna avere passione per il lavoro all’aria aperta e un terreno, anche di piccole dimensioni, per collocare le arnie.
L’investimento iniziale si aggira intorno ai 1.500/2.000 euro, che saranno spesi per procurarsi arnie, sciami artificiali per iniziare l’attività, abbigliamento dell’apicoltore (quindi tuta, cappello, maschera e guanti), attrezzi per gestire le api e l’alveare e materiale per la smielatura e il confezionamento del prodotto finale.
La fonte di guadagno dell’apicoltore non è solo il miele, il cui consumo pro capite ha comunque fatto registrare un sensibile aumento grazie anche alla maggiore attenzione al consumo di alimenti naturali: il lavoro delle api produce anche polline, pappa reale, propoli, cera d’api e idromele.
Il fatto che sia un mestiere praticamente immutato da decenni non deve trarre in inganno: sono sempre di più, infatti, le
tecnologie moderne che si affiancano alle procedure tradizionali. Si vedono sempre più spesso apicoltori geek che controllano i propri alveari a distanza tramite internet, costruiscono community virtuali per vendere miele online, si aggiornano tramite siti, forum e blog sulle novità del settore.

Questo mestiere antico, nell’ultimo anno, ha registrato un grande rilancio, molti giovani hanno trovato nell’apicoltura un’alternativa occupazionale in risposta alla crisi. Molte le persone che, armate di maschera e affumicatore, si sono scoperti o riscoperti apicoltori, un boom che non si verificava da decine di anni. Non tutti svolgono questa attività come lavoro primario: molti se ne occupano per arrotondare lo stipendio o la pensione. Parte del merito di questo “ritorno all’alveare” deve essere tributato ai corsi di formazione promossi in primavera dalle associazioni di categoria.

Oggi si finanziano interventi agroambientali per aumentare il numero di piante mellifere utili per le colonie di api e l’assistenza tecnica agli apicoltori con interventi dell’Unione Europea volti al sostegno dell’apicoltura e a mantenere alta la qualità del miele prodotto in Europa.

martedì 18 febbraio 2014

"NON TUTTO E' IN CRISI"


Sorpresa: il miele “made in Italy” piace sempre di più sui mercati internazionali. E’ quanto emerge dagli ultimi rilevamenti Istat. Le esportazioni, che negli ultimi tre anni sono state caratterizzate da costanti tassi di crescita, nel 2013 hanno addirittura iniziato a volare.

L’export italiano di miele – che cresce in Europa, in Medio Oriente, in Africa e in Asia – nei primi dieci mesi del 2013 ha sfondato quota “nove milioni” di chili con un quasi raddoppio rispetto alle quantità dello stesso periodo del 2011 e un incremento di circa il 25% rispetto al 2012.

 Il nostro primo acquirente è la Germania, seguita da Francia e Irlanda. Ad incuriosire e colpire l’attenzione è la crescita costante dell’export di miele italiano nei mercati asiatici e in quello cinese in particolare, dove nel 2012 gli acquisti di prodotto made in Italy sono triplicati rispetto all’anno precedente e nel 2013 sono addirittura cresciuti di sette volte in un solo anno!

 
Se continua di questo passo si potrebbe arrivare nel giro di qualche anno al pareggio di bilancio con il peso che le importazioni del miele hanno sulla nostra bilancia commerciale, che è attualmente attestato a 46 milioni di Euro.

domenica 26 gennaio 2014

"COSA FANNO LE API IN INVERNO........ IL GLOMERE!"


Fa freddo in questi giorni.

Molto spesso la gente mi chiede cosa facciano le api in questo periodo.

Le temperature si aggirano intorno ai 2/4°. Cosa fanno le api con temperature così rigide?

Tra tutti gli imenotteri le api sono tra i pochi a sopravvivere all’inverno a differenza di altre specie che vanno in letargo. Difatti anche in inverno con le belle giornate e con temperature di circa 12° le api riescono ad effettuare piccole perlustrazioni, in genere nelle ore centrali e quindi più calde della giornata.

Ma come riesce un insetto così piccolo e “fragile” a resistere ai rigori invernali? In giro circola qualche rivista scientifica in cui è stato dimostrato che una famiglia di api riuscirebbe a sopportare temperature anche di -20° per circa una 15ina di giorni consecutivi. E’ chiaro che in zone molto proibitive le api non hanno motivo di esistere; pensiamo ad esempio ai circoli polari.

L’ape è come molti altri insetti, la formica, le termiti…, un insetto sociale, un essere che preso come singolo esemplare non riuscirebbe a sopravvivere, ma che insieme ai suoi simili riesce a superare degli incredibili ostacoli.

Il glomere appunto è uno stratagemma che l’ape -la quale in effetti si è evoluta in milioni di anni- ha adottato per superare i rigori invernali. Un sistema efficace per contrastare il freddo e per permettere all’intera famiglia di superare il lungo inverno.

Il tutto comincia nel periodo autunnale: la regina prima di prendersi il meritato riposo della “pausa natalizia”, depone delle uova particolari. La covata autunnale è una covata speciale perchè da questa nasceranno delle api che dovranno sopravvivere molto più a lungo delle api che nascono nel periodo primaverile/estivo.
La vita media di un’ape primaverile (intesa come insetto adulto dopo lo sfarfallamento) infatti si aggira intorno al mese di vita, al massimo 40 giorni.
Le api che nascono in autunno sono delle “super api”; esse devono resistere fino a marzo quindi sono api che avranno una vita media di 5/6 mesi.
Questo ovviamente non basta! Per poter garantire la vivibilità della colonia le api devono raggiungere una temperatura all’interno dell’arnia di circa 21°. Ed ecco come si forma il glomere: immaginiamo una palla elastica. Più la temperatura aumenta più la palla aumenta il suo volume, più la temperatura diminuisce più essa riduce le sue dimensioni.

Il glomere formato dalla api funziona esattamente così. Tramite i muscoli pettorali che vibrano gli imenotteri sprigionano il calore che permette loro di sopravvivere. Più fa freddo più le api si stringono le une alle altre e viceversa. Inoltre le api esterne in questa “palla di api” daranno il cambio a quelle più interne e così via; al centro sempre lei la regina.
Tramite il meccanismo della trofallassi le api inoltre riescono a scambiare tramite le loro ligule il miele che servirà loro come carburante per far vibrare i muscoli pettorali.

Lo stesso accade per le colonie di pinguini che devono sopportare temperature anche di -50°.

E’ un esempio di come insieme  ai suoi simili l’individuo possa sopravvivere in condizioni assolutamente proibitive.

Le api  molto, ma molto prima dell’uomo, milioni di anni fa avevano capito che l’unione fa la forza!