Fino a circa 50 anni fa nel bosco si svolgeva gran parte della vita lavorativa degli abitanti delle nostre montagne. Lo sforzo era enorme, oggi impensabile, ma il bosco ripagava i disagi fornendo cibo, materiali d’uso comune e fonti di guadagno. Dalla sua generosità dipendeva la vita delle popolazioni locali. Anni di scarsa produzione significavano fame, povertà, emigrazione. Anche oggi, tuttavia, un castagneto ben gestito con governo a ceduo può dare legna con continuità per uso famigliare, oltre a fornire anche pali da vigna e da costruzione. Lo strame (le foglie) veniva raccolto con le gerle e usato per la lettiera degli animali in stalla, mentre nelle carbonaie gli esperti contadini con il legno producevano il carbone. Anche le ghiande delle querce e le faggiole, i frutti del faggio, rappresentavano un ottimo cibo per i maiali, ma era soprattutto la castagna a fornire riserve per l’inverno – secca, in conserva, sfarinata – e utili guadagni con la vendita.
Evoluzione in atto
Con l’abbandono della coltivazione del castagno (le selve castanili, oggi in via di rivalutazione), nella fascia mediana della valle trovano sempre più spazio estese formazioni di carpino nero e orniello (su suoli mediamente asciutti) e di quercia, acero, frassino e tiglio (in terreni più profondi e umidi). Anche gli spazi aperti sono in netta riduzione per la naturale avanzata del bosco, con una inevitabile semplificazione ecologica del territorio.